La guerra è brutta, e non credo che possa esserci giustificazione al mondo che la renda diversa da quello che è.
Atroce, orrenda, abominevole, immonda, non degna di un uomo.
Quando poi, e inevitabilmente avviene, le vittime sono bambini è, se possibile, ancora più brutta.
E se infine i bambini diventano carnefici inconsapevoli è, se mai possibile, ancora più inumana.
Questo è quello che ho pensato guardando ieri in TV il viso di Ismail.
Un bambino che a stento cammina, con un kalashnikov in mano.
Che sia vero o finto che differenza fa? Ismail è lì, in guerra, e combatte una battaglia che mai potrà essere sua.
Ieri sera dunque come una notizia tra le altre: la politica, la cronaca, gli esteri. Ed eccolo il volto di quel piccolo, che buca lo schermo, che non chiede aiuto ma fa tanta pena.
Ha la bandana in testa dei combattenti dell’Isis, il fucile si diceva, tiene la mano ad un adulto e marcia.
La mamma, Lidia Solano Herrera (l’Ansa e altre testate la chiamano Linda, ma il dettaglio è veramente poco importante), cubana residente nel bellunese da anni, lo aveva riconosciuto in internet qualche giorno fa “E’ mio figlio” aveva detto.
Lidia era sposata con un ragazzo bosniaco, Ismar Mesinovic. Lui faceva l’imbianchino a Belluno. Divorziano; poi lo scorso anno, nel novembre 2013, Lidia acconsente che l’ex marito porti il bimbo a conoscere i parenti bosniaci. Lo aveva fatto anche lei l’anno prima andando a Cuba: “mi sembrava giusto, per il bene del bimbo e poi perché era giusto che lo vedesse anche la famiglia di lui. Ho lasciato che andasse anche quella volta perché non c’era motivo di credere che me l’avrebbe portato via”.
Ismar era un ragazzo tranquillo, lavorava, andava al centro islamico un paio di volte a settimana, ma non era un fanatico, a quanto racconta l’ex moglie: “ Non era strano. E il furgone su cui è partito, era quello che usava per lavoro. Mi parlava della religione, però non in termini fanatici”.
Da quella partenza però Lidia non rivede più i due.
Ismar si arruola nelle truppe integraliste siriane, e muore in uno scontro a fuoco.
Ismail sta bene, le dicono con degli sms i parenti bosniaci, ma Lidia non sa più dove sia il suo piccolo.
Poi eccolo.
Lidia lo racconta per la prima volta alla trasmissione de La7 Anno Uno dello scorso 18 dicembre, e si apre il caso.
Ismail viene ritratto in alcune foto pubblicate in rete da un sito di propaganda jiahdista.
In sella ad una moto con un uomo barbuto, e con quel fucile e la sua felpa nera.
I servizi segreti cominciano ad indagare, i Ros di Padova lo avevano fatto prima: erano sulle tracce di reclutatori islamici che operavano in Veneto.
E infatti riconoscono l’uomo che fa compagnia a Ismail sulla moto: Said Colic, bosniaco, precedenti per droga, segnalato in Siria e veterano della guerriglia.
Il quadro è completo.
Non si sa né dove né quando sono state scattate queste foto, gli investigatori non hanno la certezza che quel bambino in foto sia Ismail, ma ci sono molte somiglianze tra le immagini ormai tristemente note, e quelle che aveva a casa Linda.
“A me sembra proprio lui. Il cuore di una mamma non può sbagliare. Spero che torni qui accanto a me. Ho consumato le fotografie e i miei occhi a forza di guardarle. Penso sempre a lui, solo a lui”. Dice Lidia.
Che sia Ismail, o un bimbo di un’altra mamma, un solo augurio si può fare: che torni a casa, e non giochi più coi fucili.
Fonte: Ansa