La poliomielite, malattia quasi totalmente e mondialmente eradicata, è stata tra le più temibili patologie che ha afflitto il XX secolo.
La storia di questa però risale alla notte dei tempi, e evidenze riportano la conoscenza della polio già nel 1.000 AC (alcuni reperti egizi mostrano infatti persone paralizzate dalla malattia che camminano con stampelle).
Per moltissimo tempo però questo male non è stato ritenuto così minaccioso come altri virus (vaiolo, peste ecc).
All’inizio del Novecento invece una serie di epidemie dilagano nel vecchio e nel nuovo mondo, facendo vittime non solo sui più piccoli, come fino a quell’epoca era successo, ma contagiando anche bambini più grandi (5-9 anni), e persino persone sopra i 15 anni di età.
E’ del 1916 la più grande epidemia che dilagò negli Stati Uniti fino ad allora (a New York), e successivamente, nel 1952, 57.000 persone rimasero paralizzate, e la stessa sorte toccò ad altrettanti soggetti a tutte le latitudini.
La poliomielite è un’infezione che si diffonde maggiormente per via oro-fecale, il suo termine deriva dal greco Polios (grigio), e interessa il midollo spinale (insieme al suffisso itis: infiammazione della materia grigia).
Provoca paralisi poiché colpisce il sistema nervoso centrale, o in alcuni rari casi produce manifestazioni lievi.
In quegli anni dunque molti laboratori lavorarono per trovare un vaccino a questo terribile virus.
Il termine vaccino deriva proprio dalle vacche, allorchè il suo scopritore, Edward Jenner, intorno alla metà del ‘700 inoculò nell’uomo il virus del vaiolo di vacca, simile a quello umano, che consentiva la risposta immunitaria, ma abbastanza debole da non far ammalare come con il virus dell’uomo.
Per tornare agli anni ’50, bisogna precisare che la fiducia dell’uomo nei progressi scientifici era enorme, tutti avevano sperimentato cosa significava essere o meno vaccinati.
Proprio in quegli anni, precisamente nel 1947, il dottor Jonas Salk cominciò le sue ricerche nel laboratorio di Pittsburgh.
Egli appurò che esistevano 125 tipi di virus che causavano la poliomielite, raggruppati in tre grandi rami.
Grazie anche alle scoperte dei premi Nobel John F. Enders, Thomas H. Weller, e Fredrick C. Robbins, che riprodussero il virus in laboratorio, nel 1952 Salk approntò il primo vaccino sperimentale antipolio, che testò direttamente sulla sua famiglia (sé stesso, moglie e figli), e su alcuni soggetti affetti.
Dopo avere ricevuto l’ok per la vaccinazione di massa, nel 1954 un milione e 800 mila bambini americani, canadesi e finlandesi vennero sottoposti a vaccinazione sperimentale.
Si trattava del più grande test mai effettuato prima d’ora: una sperimentazione in doppio cieco (vuol dire con tre gruppi di pazienti, ai quali si somministra il farmaco a uno e il placebo all’altro gruppo a loro insaputa) con un terzo gruppo al quale non venne somministrato niente, come gruppo di controllo.
I risultati non si fecero aspettare: il vaccino produsse il 60-70% di copertura contro il virus di tipo 1 e addirittura il 90% contro gli altri due tipi.
Nel 1955 il Governo degli Stati Uniti, a sperimentazione ultimata con successo, autorizzò la produzione industriale del vaccino Salk.
Sebbene con qualche intoppo (alcuni casi di bambini morti o paralizzati a causa dell’inoculazione del vaccino) i casi di polio scesero da 28.985 del 1955 a 61 nel 1965.
Un altro scienziato nel 1957 cominciò a studiare gli effetti di un vaccino alternativo, che poteva essere somministrato oralmente: Albert Bruce Sabin.
Quest’ultimo testò il suo farmaco nell’unico paese che ancora non aveva ricevuto campagne di vaccinazioni di massa: l’URSS.
Il vaccino di Sabin venne così chiamato “vaccino comunista”, ma benché anti-imperialista, riscosse comunque successo oltre-oceano, dove venne adottato nel 1961 perché si era dimostrato ancor più efficace del primo Salk.
Nel 1994 nelle Americhe viene dichiarata eradicata la Poliomielite.
E in Italia?
Intorno agli anni ’50 anche l’Italia era afflitta dalla malattia, sebbene non vi fosse notizia di epidemie: ogni anno si osservavano migliaia di casi, fino al 1964, quando vennero introdotte anche nel nostro paese le vaccinazioni di massa.
L’Italia è stata dichiarata libera dalla poliomielite il 21 giugno del 2002.
Una volta eradicato il virus si passò, così come negli USA, al più innocuo vaccino Salk, che era sì più debole, ma con meno rischi di effetti gravi indesiderati.
Oggi la poliomielite resiste in pochissime nazioni come Pakistan o Nigeria.
Purtroppo però la storia non insegna abbastanza, e troppo spesso ancora si sentono critiche feroci contro le campagne di vaccinazione.
Di recente ad esempio si tirò in ballo la bufala colossale che il vaccino provocava autismo, salvo essere poi ritrattata dallo stesso medico che pubblicò questo folle studio (leggi qui l’articolo).
Alcuni effetti sono però purtroppo reali, sebbene rari.
Ma il fatto che alcuni decidano di non volersi vaccinare non è solo un fatto che coinvolge un unico soggetto. Adesso un singolo che non si vaccina gode dell’immunità che lo circonda, ma immaginiamo se tutti cominciassimo a non voler più farci inoculare il virus inattivo: succederebbe che alcuni di essi, vivissimi, tornerebbero a mietere vittime, ed ecco quindi che l’aspetto di una vaccinazione esce dal campo personale per minare quello sociale.
Ecco perché alcune campagne di vaccinazione rientrano in un sistema di sanità pubblica, non soltanto come protezione del singolo, ma della società.
Si chiama immunità di branco (herd immunity), che comporta la vaccinazione di un numero tale di persone che a quel punto la malattia non riesce più a diffondersi, restando eventualmente come focoliaio o addirittura come caso isolato.
Con questo tipo di ragionamento si proteggono non solo i vaccinati, ma anche coloro che per diverse ragioni non possono farlo (neonati, allergici, anziani, debilitati ecc).
E il fatto che adesso in Italia ci si orienta ad una vaccinazione consigliata e non più obbligatoria, non deve far pensare che il pericolo contagio sia escluso, quanto il fatto che si lascia alla libera volontà dei genitori l’inoculazione del vaccino. Ricordiamo d’altronde che in alcune zone del mondo nelle quali alcuni vaccini sono solo consigliati, in genere non si raggiunge una immunità di branco (che coinvolge almeno l’80% della popolazione).
E’ importante inoltre sapere che se le vaccinazioni si interrompono il virus può tornare a ricontagiare, come successe con la difterite in Unione Sovietica.
Fino agli anni ’90 i casi di difterite in Russia, paese che vaccinava obbligatoriamente i suoi bambini contro la malattia, erano pochissimi. Con la caduta del muro di Berlino, e lo sfasciamento delle Repubbliche Sovietiche, quest’obbligo venne meno, con il risultato di un’epidemia di circa 200 mila casi negli anni immediatamente successivi (1992-1995), epidemia che si riuscì ad arginare con una nuova massiccia campagna vaccinale antidifterica.
Questo dovrebbe fugare ogni dubbio sull’utilità della vaccinazione, anche se purtroppo non è ancora così.
Basti pensare a tutti quelli che sostennero che la polio in Italia scomparve per le migliorate condizioni igieniche, o ancora tutti coloro che sostengono oggi che i vaccini fanno più male che bene (facciamo un giro in Internet e ce ne accorgeremo).
Questo articolo è stato scritto ispirandosi ad uno di Dario Bressanini, chimico, ricercatore e divulgatore.
Sicuramente il Dottor Bressanini ha espresso le sue convinzioni a seguito di studi approfonditi e non credo sia possibile confutarli, almeno io non lo farò.
Per chiunque volesse invece farlo concludo questo scritto con un suo consiglio, dedicato a tutti coloro che sostengono ancora che i vaccini sono mortali e che servono solo a rimpolpare i guadagni delle case farmaceutiche, che l’uomo non è andato sulla luna e che le Torri Gemelle sono state buttate giù a causa di un complotto: guardate (anzi guardiamo) questo disegno, si intitola “Wonder Why My Parents Didn’t Give Me Salk Shots?”(Mi chiedo perchè i miei genitori non mi abbiano dato le iniezioni Salk) e pensiamo a come sarebbe stato questo bambino con un vaccino.
Fonte: Le Scienze Blog