Girando in rete per tutt’altro, giusto ieri mi sono imbattuta in un articolo che diceva “Non esistono botte a fin di bene”.
Io sono mamma “ormai” da 13 anni, e, ammetto la colpa, le botte le ho prese (dalla mia ) e le ho date.
Ma ho sempre pensato, non essendo psicologa, che nel momento in cui davo le sculacciate, non l’ho mai fatto con un pensiero ben distinto, e a fin di bene.
Le botte spesso i genitori le danno quando hanno esaurito la pazienza, quando non riescono a concordare una soluzione comune con il figlio.
E sono d’accordo con il pensiero di Alice Miller, che non esistono botte a fin di bene.
Alice Miller è stata una psicologa e psicoterapeuta (1923-2010), un po’ controcorrente, che ha confutato anche teorie freudiane.
Dell’argomento violenza sui bambini ne ha discusso in molti suoi libri.
Le sculacciate, quelle sul culetto, o sulle mani, sono state per secoli giustificate, si pensi che in alcuni Stati degli Stati Uniti la legge consente ancora punizioni corporali nelle scuole e nelle famiglie come metodo educativo.
Io non so gli altri, ma quando le do ai miei figli, poi dopo, passato il momento di rabbia, sento il fallimento delle mie azioni, anzi delle mie non azioni.
Quelle che avrei dovuto mettere in pratica per mediare la discussione che mi ha portato alle percosse, e che invece non ho messo.
Certo, è vero, in molti dicono che trattare i bambini come dei piccoli adulti è anche un limite, perché il pensiero logico, il percorso mentale dei bambini non è uguale a quello degli adulti, come d’altronde non lo è quello dell’uomo e della donna (provate a immaginare il pensiero dell’uomo e della donna quando tornano a casa la sera: la donna penserà che deve cucinare e sistemare la cena, l’uomo –spesso, magari non sempre ma spesso – non vedrà l’ora di togliersi le scarpe e vedere la partita in TV).
Non sempre dunque si riesce a spiegare ai piccoli che una cosa non va fatta, o al contrario deve essere fatta, proprio in quel momento.
Ma da qui a pensare che “gli do’ botte così capisce”, beh, è sbagliato.
Leggete l’articolo della Miller, io l’ho fatto, e mi sono ripromessa di ricordarlo ogni volta che i miei figli mi faranno perdere la pazienza.
Magari lo stampo proprio e lo appendo al frigo…
Perché le sculacciate, gli schiaffi ed anche le botte che sembrano innocue sono pericolose?
1. Insegnano loro la violenza, con l’esempio che ne danno;
2. Distruggono la certezza infallibile d’essere amato, cosa di cui il bambino ha bisogno;
3. Creano un’angoscia: quella dell’attesa delle prossime percosse;
4. Sono portatrici d’una menzogna: pretendono di essere educative quando in realtà servono ai genitori per sfogare la loro rabbia; essi picchiano i loro bambini perché sono stati essi stessi picchiati nella loro infanzia;
5. Incitano alla rabbia e ad un desiderio di vendetta che non verranno espressi nell’infanzia ma si esprimeranno nell’età adulta;
6. Predispongono il bambino ad accettare argomentazioni illogiche (“io ti faccio male per il tuo bene”) e le imprimono nel suo corpo;
7. Distruggono la sensibilità e la compassione verso gli altri e verso sé e limitano così le capacità di conoscenza.
Che cosa impara il bambino dalle sculacciate e dalle altre percosse?
1. Che il bambino non merita il rispetto;
2. Che si può apprendere il bene attraverso una punizione; questo è falso, in verità insegniamo al bambino solo il desiderio di punire;
3. Che non bisogna sentire la sofferenza, che è necessario ignorarla; questo è pericoloso per il sistema immunitario;
4. Che la violenza fa parte dell’amore; questa lezione incita alla perversione;
5. Che la negazione delle emozioni è salubre; ma è il corpo che paga il prezzo per quest’errore, spesso molto più tardi nella vita;
6. Che non bisogna difendersi prima dell’età adulta.
E’ il corpo che conserva la memoria di tutte le tracce nocive delle supposte “buone sculacciate”.
Come scarichiamo la rabbia inascoltata?
Durante l’infanzia e l’adolescenza:
1. Perseguitando i più deboli.
2. Aggredendo i propri amici e compagni.
3. Umiliando le ragazze.
4. Attaccando gli insegnanti.
5. Vivendo le emozioni vietate dinanzi alla televisione o attraverso i videogiochi, identificandosi con eroi violenti. (I bambini non picchiati dimostrano meno interesse per gli spettacoli violenti e crudeli e non produrranno film atroci, una volta diventati adulti).
Quali sono le conseguenze nell’età adulta?
1. Si perpetuano le percosse, apparentemente come un mezzo educativo efficace, senza rendersi conto che in verità ci si vendica della propria sofferenza sulla generazione successiva.
2. Ci si rifiuta, o non si è capaci, di comprendere le relazioni tra la violenza subita precedentemente e quella ripetuta attivamente oggi. Si conserva così l’ignoranza della società.
3. Ci si impegna in attività violente.
4. Ci si lascia influenzare facilmente dai discorsi politici che ci indicano capri espiatori nei confronti della violenza che abbiamo interiorizzato e di cui ci possiamo finalmente sbarazzare senza essere puniti: razze “impure”, etnie da “ripulire”, minoranze sociali disprezzate.
5. Perché chi ha obbedito alla violenza da bambino, è pronto ad obbedire nuovamente a qualsiasi autorità che gli ricordi l’autorità dei genitori, come i tedeschi hanno obbedito a Hitler, i russi a Stalin, i serbi a Milosevic.
Per contro, si può prendere coscienza della rimozione, provare a comprendere come la violenza si trasmetta dai genitori ai bambini, e si può smettere di picchiare i bambini indipendentemente dalla loro età.
Si può farlo immediatamente quando si comprende che le sole vere ragioni per dare “botte educative” si nascondono nella storia rimossa dei genitori.