Salvatore Parolisi, l’ex caporalmaggiore dell’Esercito Italiano, deputato all’addestramento delle reclute presso la caserma “Clementi” di Ascoli Piceno è nuovamente sotto processo. Ciò che colpisce è che i capi di imputazione potrebbero rivelarsi non estranei e non lontani dalla morte della moglie Melania.
Ma quali sono questi capi di imputazione e, cioè, per quale motivo Salvatore Parolisi è di nuovo alla sbarra degli imputati?
Il nuovo processo, che vede imputato Salvatore Parolisi insieme ad altri militari in servizio presso la caserma di Ascoli Piceno, verte sulle molestie perpetrate a danno delle reclute e delle giovani soldatesse, dentro e fuori la caserma “Clementi”.
Durante le indagini sulla morte di Melania emerse che il marito, Salvatore Parolisi, da tempo intratteneva una relazione sentimentale con una sua sottoposta, una soldatessa di cui lui stesso era stato l’addestratore. La relazione extraconiugale intrattenuta da Parolisi con la ragazza era lunga, strutturata e duratura.
Presto si fece largo il sospetto che dietro i cancelli della caserma “Clementi” accadesse qualche cosa di non lecito e di non ammissibile.
E tale sospetto divenne una domanda che finì col rintracciare un possibile movente del delitto Rea:
“se Melania fosse venuta a conoscenza di un segreto inconfessabile di Salvatore (come poteva essere uno scandalo con implicazioni scabrose), suo marito, pur di impedirle di rivelarlo, avrebbe potuto ucciderla?”
Va detto però che questo clima di sospetto non è solo un’ipotesi da giallisti, il carico di dubbi che ricadono su Salvatore Parolisi e sui sui colleghi è stato confermato e comprovato da un’indagine investigativa diversa da quella avente ad oggetto la morte di Melania Rea.
Detta indagine (che è alla base del processo appena incominciato) prende le mosse dalle confessioni di un collaboratore di giustizia arrestato per mafia nel 2011, tale Massimo Amato.
Perché Massimo Amato, un collaboratore di giustizia, arriva a parlare agli inquirenti della caserma “Clementi” di Ascoli Piceno?
Il collaboratore di giustizia disegna lo scenario di uno stabile traffico di droga (accompagnato all’altrettanto stabile “prassi” dell’adescamento molesto delle soldatesse).
Il settimanale Giallo (Cairo Editore n°22 del 4 giugno 2014) riporta le dichiarazioni del pentito che avrebbe ricostruito i fatti accaduti all’interno della caserma attraverso le testimonianze dirette di più soldatesse.
Inoltre nel giugno del 2011 una soldatessa, detta “Titta”, sarebbe finita agli arresti mentre frequentava il secondo anno di corso presso la caserma “Clementi”, e su “Titta” sarebbe ricaduta l’accusa di spaccio all’interno del reggimento.
Le soldatesse conosciute da Massimo Amato (e da lui precisamente indicate agli inquirenti) avrebbero svelato in che modo gli uomini in uniforme le spingessero a prestare il loro corpo in cambio di attenzioni particolari (come addestramenti meno pesanti e servizi notturni più sporadici e leggeri). Le soldatesse che si rifiutavano di concedersi venivano vessate e costrette ad un addestramento più duro e più difficilmente sostenibile.
Gli incontri con le ragazze avvenivano dentro e fuori dalla caserma ed, a detta dell’ex pentito, ci sarebbero diverse video testimonianze di questi incontri ravvicinati. Per di più almeno 4 video hot sarebbero stati anche immessi in rete, uno in particolare avrebbe un protagonista già noto alla cronaca: Salvatore Parolisi.
La pista degli incontri hot è stata seguita dagli inquirenti e sono stati ascoltati altri militari, molti i particolari raccolti. Tutti i dettagli risultano congruenti: appare indubbio che esisteva un circuito di relazioni clandestine tra soldati e soldatesse con collegati incontri caldi.
Adesso il processo dovrà stabilire se tali incontri erano estorti con minacce e violenze (se ciò fosse appurato rileverebbe certamente ai fini penali con un grosso carico di responsabilità per i colpevoli). Ovviamente ciò al di là della rilevanza militare ed etica degli accadimenti.
Ma c’è di più. Il settimanale Giallo nel numero in edicola riporta una notizia clamorosa:
Massimo Amato avrebbe portato all’attenzione degli inquirenti la morte di un caporale istruttore avvenuta ne l 2005.
Secondo il pentito quella morte sarebbe “tutta da indagare”: ufficialmente il caporale è deceduto a seguito di un incidente stradale, tuttavia in caserma (ciò a detta delle confidenti del pentito) correrebbe la voce che il caporale era intenzionato a denunciare i loschi giri di droga e “intimità” tra soldatesse e soldati.
Pare anche che Amato abbia riportato agli inquirenti un grave episodio di minacce a suo carico. Proprio Giallo riporta questa testuale dichiarazione del pentito: << fui minacciato di morte. Due caporali della caserma “Clementi” mi invitarono a tenere la bocca chiusa su quanto sapevo>>.
Il nuovo processo contro Salvatore Parolisi ed i suoi colleghi potrebbe, dunque aggiungere ulteriori dettagli al caso Rea dando anche maggiore forza e rilevanza ad un movente non solo passionale.